LA CHIESA E MONTE DI San GIORGIO: Incontro tra Natura e Storia
L’articolo Viene scritto su Paesaggi e Sconfini nella circostanza dei più recenti lavori di restauro e consolidamento della chiesa di San Giorgio sul monte omonimo
Dei rilievi che si protendono nella pianura tra la Val di Susa e il pinerolese, il monte San Giorgio è probabilmente l’avamposto più avanzato.
Descrivendolo l’anonimo redattore seicentesco della storia della congregazione piossaschese dell’Angelo Custode, parlava della sua “triplicata altezza”.
Il suo improvviso protendersi sulla pianura circostante dà ai più questa impressione.
Ottocentotrentasette metri di parete, oggi in parte spoglia, in parte interessata da una vegetazione non autoctona, con profondi canalas, che convogliano le acque dei violenti temporali estivi nel borgo sottostante di S.Vito o più a levante verso il Sangonetto.
Da lassù la meravigliosa vista “appaga l’occhio di diletto e lo stracca per la lontananza degli oggetti” diceva il suo cantore.
La Cima
La cima è un incomparabile belvedere a trecentosessanta gradi: la vista spazia sulla pianura torinese e cuneese, dalle colline del Po alle Alpi Marittime, dalle Cozie al Monte Rosa.
Monviso, Rocciamelone e Gran Paradiso mostrano in lontananza il loro superbo profilo.
Oggi Parco naturale, area protetta della Città Metropolitana di Torino, queste sue caratteristiche naturali sono fruite da camminatori, bikers che si inerpicano per i numerosi sentieri.
I velonauti col parapendio e i deltaplanisti si librano dalla sua cima.
Il San Giorgiotuttavia non è solo questo, ha una lunga storia che affonda le sue radici documentabili prima del Mille.
Tracce fatte di coppelle e menir ci rimandano a un tempo ancor più addietro e antico.
In quei secoli dell’età di mezzo, dove il prevalere della natura sull’uomo era una prerogativa anche di questo territorio, il monte ha rappresentato uno spazio quasi ostile e vietato all’uomo.
La cima era nel totale isolamento.
La Strada
La strada attuale che sale dalla collina di S.Valeriano è solo del 1963.
La celebre Adelaide Manfredi, della potente famiglia degli Arduinici la dona, nel 1064, all’abazia di Pinerolo.
Ma la frequentazione della montagna è documentabile ancor prima del Mille.
È del 999 una transazione di beni tra il vescovo di Torino Gezone e il monastero di San Solutore in cui viene ricordata la chiesa.
Il diritto viene esercitato su questo monte dalla abazia pinerolese per secoli. Si estingue solo con gli espropri susseguenti al governo rivoluzionario francese nel 1802.
Origini
Poco si sa dell’origine della piccola comunità cenobitica medievale, di cui è rimasto traccia sulla sommità.
Da alcune campagne di scavo e rilievi si è appurato che l’edificio della chiesa romanica ad abside trilobata, con portico si accompagnava a edifici di servizio come stalla, celle e orto.
Fuori del porticato sulla destra si affiancava anche un piccolo cimitero. I reperti ossei di quella del 1979 hanno riportato alla luce i resti anche di una donna e un bambino.
Il fatto è forse spiegabile con la presenza lungo il crinale della catena montuosa di contadini montanari che fecero presa.
Su concessione signorile disboscarono alcune aree per dedicarsi all’arte carbonaria e a una piccola agricoltura di sussistenza, legata alla produzione della castagna, di cereali per autoconsumo.
Sono i Piossasco-Scalenghe del ramo Bardassano a concedere questi boschi. Perfino la lontana abazia della Novalesa intratteneva con questi signori e contadini commerci di prodotti del bosco e granaglie.
Le due sepolture anomale testimoniano il totale isolamento di questi insediamenti almeno nella cattiva stagione.
Per inumare le salme nel cimitero antistante la chiesa di S.Vito, si doveva scendere fino alla collina dei castelli.
È probabile che la cura animarum di queste popolazioni sia stata svolta, in momenti eccezionali, da questa piccola comunità religiosa.
Situazione attuale
I resti della chiesa sono oggi molto compromessi.
Gli aspetti architettonici lasciano intravvedere ancora la probabile dimensione dell’edificio e dei corpi annessi.
Degli affreschi, frammenti sfuggiti al vandalismo e furti di epoche passate rimane poco.
Sulle pareti delle volte, dell’area absidale e dell’aula presbiteriale, sono parzialmente visibili alcuni particolari pittorici: sinopie e dipinti murali, prevalentemente realizzati ad affresco e databili al XIV sec.
Tra i dipinti a vista più significativi si riconoscono la figura di San Giorgio, il bue e gli artigli dell’aquila, propri all’iconografia degli evangelisti San Luca e San Giovanni, e una teoria di Santi a figura intera tra i quali è ben leggibile un volto.
L’edificio religioso notoriamente dedicato a San Giorgio ha finito col tempo nel donare il nome a lo stesso monte.
Più in basso, la dedicazione, della cappella ricordata a S.Valeriano ci conferma una tradizione locale di dedicazioni a santi militari, come spesso si incontra su tutto l’arco alpino piemontese.
La Storia
Il profilo dei rilievi piossaschesi è stato nei primi secoli basso medievali altamente strategico.
La stessa potente dinastia dei Piossasco lo certifica: da semplici custodi del castello, eretto sull’avamposto di ponente del monte, assurgono nei secoli a una delle casate militari più importanti del medioevo e oltre.
Le suggestioni medievali del monte alimentano anche la leggenda. I frequenti incendi del rilievo hanno generato il mito del drago che albergava sulle sue pendici e solo col fuoco fu infine sconfitto.
Questo racconto ottocentesco attribuibile al conte Palma di Borgofranco suffraga la ciclica tradizione del suo prendere fuoco.
Memoria recente ne è l’incendio devastante e tragico del 1999.
Nell’Ottocento e primo Novecento, il San Giorgio rappresenta anche un’area di sfogo della piccola economia contadina nonché protoindustriale.
Luogo di pascolo comune e di raccolta di un’erba selvatica, il tribio (Handropon Grillus), particolarmente resistente per la confezione di brusche, materia prima per la nascente industria delle spazzole.
Il legame della popolazione con il monte è rimasto inalterato nel tempo e costante per tutto il Novecento.
Ogni anno il primo maggio, sacro e profano, con messa e scampagnata, monte e popolazione locale, rinsaldano questo legame.
Solo nel periodo della II Guerra Mondiale questo rito non venne celebrato.
Ma i sui boschi, i suoi anfratti fornirono rifugio per la lotta partigiana.
Molte altre cose si potrebbero ancora dire scendendo a valle da questa cima, perché la storia gli fa veramente corolla.
Una lunga strada, detta anticamente Camina Longa, costeggia i suoi piedi, arrivando dalla Valle del Sangone.
Nei secoli basso medievali, era percorsa da pellegrini che salivano a S.Vito dove c’era un ospizio.
Il loro cammino riprendeva poi attraverso la via Tupinaria e più in basso del Pellerino.
San Valeriano
Dalla Camina Longa entrando nell’abitato del paese ci appare oggi, sulla collina di S.Valeriano, il monumento dello scultore Riccardo Lanza.
Una stele quadriforme, di ben dodici metri con geometrie di vuoti e di pieni, che si protendono verso il cielo in un abbraccio.
La parete sottostante presenta tuttora una ampia ferita, inferta da una attività di estrazione mineraria di fine Ottocento, presto interrotta.
Nell’anfiteatro lasciato da questa cava è visibile un palcoscenico di quinte per rappresentazioni teatrali.
Opera a cui stava lavorando lo scultore, negli anni settanta, e interrotta per la sua prematura morte. Forse neanche i piossaschesi sanno che questa montagna custodisce così tanti ricordi.