SAN ANTONIO ABATE
Sec. III
Da manuale Dell’associazione Corona Verde di San Vito
Immagini e foto Franco Mottura testi di Gianfranco Martinatto
Attributi iconografici: maialino, bastone a forma di tau
San Antonio Abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa.
Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250, a vent’anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni.
Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente.
Ricoperto appena da un rude panno, si rifugiò dapprima in un’antica tomba scavata nella roccia intorno al villaggio di Coma, un amico gli portava ogni tanto un po’ di pane, per il resto si doveva arrangiare con frutti di bosco e le erbe dei campi.
Nel 285 Antonio si trasferì, rimanendovi per 20 anni, sulle montagne del Pispir dove c’era una fortezza abbandonata, ma con una fonte sorgiva.
Deserto della Tebaide
Per sfuggire ai troppi curiosi che si recavano nel fortilizio del Mar Rosso, decise di ritirarsi in un luogo più isolato e andò nel deserto della Tebaide, dove prese a coltivare un piccolo orto per il suo sostentamento e di quanti, discepoli e visitatori, si recavano da lui per aiuto e ricerca di perfezione.
Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati dall’imperatore romano Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Concilio di Nicea.
Negli ultimi anni accolse presso di sé due monaci che l’accudirono nell’estrema vecchiaia; morì a 106 anni, il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto.
La sua presenza aveva attirato tante persone desiderose di vita spirituale e tanti scelsero di essere monaci; così fra i monti della Tebaide (Alto Egitto) sorsero monasteri e il deserto si popolò di monaci.
Primi di quella moltitudine di uomini consacrati che in Oriente e in Occidente, intrapresero quel cammino da lui iniziato, ampliandolo e adattandolo alle esigenze dei tempi.
In questa chiesa a venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, usata per fare il pane.
Privilegio di allevare maiali
Il papa accordò ai monaci il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.
Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di S.Antonio” e poi “fuoco di S.Antonio” (herpes zoster); per questo nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano; fu poi considerato il santo patrono di tutti gli animali domestici e della stalla.
Iconografia
Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau.
La “tau” ha un duplice significato: rappresenta la Croce di Cristo ed essendo l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, ingloba altresì un significato escatologico, come allusione a destino ultimo dell’essere umano e dell’universo.