Il 2 GIUGNO Anniversario della Repubblica tra parate e contromanifestazioni

 6/6/2006 Gfm

Il 2 giugno 2006 la Repubblica Italiana ha compiuto sessantanni.

È strano come l’Italia si celebri poco. Progressivamente le festività civili si sono ridotte a tre: il 25 aprile, festa della liberazione

il 1 maggio, festa del lavoro, il 2 giugno, festa della repubblica.

Gli U.S.A. riescono ha celebrare la propria storia e memoria con ben otto festività civili mentre noi abbiamo fatto di tutto per ridurle.

 Il dimagrimento dei giorni festivi non è l’unico fenomeno italiano evidente. Noi riusciamo a dividerci anche nel giorno della festa.

Ogni presidente che sale al Quirinale deve ribadire per l’ennesima volta che la Liberazione è una vittoria condivisibile da tutti. Il 4 novembre, per renderlo meno ingombrante, è stato spostato alla prima domenica del mese.

Il 2 giugno di quest’anno un pezzo d’Italia è sfilata ai Fori Imperiali e un altro da Castel Sant’Angelo verso il Lungotevere.

La festa della Repubblica appiattita sulla parata militare è stata contestata da sinistra.

Gli uomini dello stato e quelli dei movimenti alternativi, con vaste zone grigie,
 fatte di spille (cfr. Bertinotti) e distinguo, parlano lingue diverse.
Contro l’ostentazione del braccio armato dello stato ognuno va per la sua strada.

Queste contrapposizioni ci fanno perdere di vista il bene più prezioso di questo giorno che celebra l’avvento della repubblica: l’affermazione della democrazia, delle garanzie e libertà costituzionali.

Chi contesta il potere coercitivo dello stato rappresentato anche, ma non solo, dalle forze armate invoca l’articolo 11 della nostra costituzione. Non credo ci sia persona di buon senso che non sottoscriva il ripudio della guerra in tutte le sue forme di offesa e difesa.

Tuttavia in quell’articolo si richiama anche la necessità di promuovere la pace, la cooperazione dei popoli attraverso le organizzazioni internazionali.

Se fosse facile uscire dalla logica homo homini lupus, gli eserciti e le guerre non sarebbero eterni. Purtroppo essere uomini e paesi di buona volontà sembra merce rara e di conseguenza la forza diventa necessaria.

La latitanza, l’impotenza delle organizzazioni mondiali è sotto gli occhi di tutti. Dopo la prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni fallì il suo scopo.

Nel secondo dopoguerra l’O.N.U è passato dalla paralisi dei blocchi contrapposti all’attuale agonia ed impotenza.
L’Europa tuttora latita.

 È giusto che l’utopia animi il progetto del nostro futuro ma la strada per trasformare le armi in falci e vomeri è lunga.
Nell’attesa che fare?

Nel bene o nel male questa repubblica è nata anche dalla lotta armata alla tirannide.
La riaffermazione del primato della politica parlamentare sugli eserciti e il loro uso dovrebbe essere un valore condiviso.

Dividerci e porre ogni volta mano all’accetta della denigrazione dell’Italia, dello stato, della sua politica è uno sport nazionale. Non sono i globalismi, gli internazionalismi fumosi, senza confini, a rendere il mondo migliore.

Nella costruzione di una casa comune, di un mondo pacificato noi come Italia possiamo portare la nostra identità e i nostri valori.
Prima di tutto io credo che questi esistano e siano il frutto di quanto abbiamo acquisito dalla nostra storia.

Sarebbe difficile trovare oggi altra istituzione che meglio rappresenti questi valori se non la Repubblica, nata dall’esperienza della Resistenza dopo tante parentesi storiche dolorose.

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