Intervento in merito alla fase iniziale del progetto di fare o ristrutturare l’edificio del comune

L’espletamento di una qualsiasi pratica presso gli uffici municipali pone a tutti una evidenza indiscutibile: la dispersione, l’inadeguatezza degli uffici comunali, un problema per tutti coloro, che stanno dall’una all’altra parte del bancone.

Focalizzata in questi termini l’urgenza di una razionalizzazione, la tesi dell’edificio nuovo, unico, razionalizzante, sembra avere molte ragioni ma una visione di più ampio respiro sugli aspetti architettonici e sociali del paese-città sposta di molto la prospettiva sulle scelte da intraprendere.

Prendendolo alla lontana il problema, municipio nuovo o ristrutturato, sta proprio nella contraddizione paese, città.

municipio piossasco

municipio piossasco

Non basta aver richiesto e certificato lo status giuridico, aver modificato i simboli del gonfalone per trasformare d’incanto un paese in un centro urbano.

Viene facile dire che non siamo più un paese e non siamo ancora una città. Siamo un gran borgo in cerca di una identità urbana e sociale.

Molti, soprattutto quelli che poi mettono mano alla trasformazione urbanistica del paese, progettando e plasmando il tessuto insediativo esistente e nuovo, sembrano avulsi da una cultura e memoria del locale e questo purtroppo si vede in molte scelte urbanistiche, discutibili quando non scellerate.

I vecchi piusaschin

spesso si lamentano, sterilmente, di una Piossasco che non c’è più ( e non ritornerà più), i nuovi piossaschesi si lamentano di un paese senza centro, dove si possa convergere, fare le “vasche” in fondo sentirsi paese come capita ancora in molte parti del Centro – Sud Italia.

Ma una città nasce spontanea, semplicemente convogliata da piani regolatori e PIP vari? La risposta è chiaramente un no sonoro.

Non vorrei cadere nell’onirico ma è vero che le città che ammiriamo per le bellezze e soprattutto per la qualità della vita sono state prima sognate e vagheggiate, poi progettate e costruite.

È in questa fase preventiva che il sapere della memoria, della storia di un luogo deve venire fuori, sia nel progettare un grande edificio di interesse pubblico sia nel non far costruire una villetta in un terreno in paludoso che l’attingere alla semplice memoria contadina avrebbe potuto evitare,

sia nella costruzione strategica di un supermercato.

Piossasco

non è Firenze, non è Palmanova non è un paese da essersi sviluppato attorno ad un cardo e decumano romano, ad un sistema a stella rinascimentale, ma per capire dove stia l’origine del centro basta una cartina di fine settecento (vedi AST).

Il paese si articola, da sempre, attorno a tre centri (Piazza, Borgata, Marchile) di cui due divenuti col tempo preponderanti (Piazza, Borgata) e per certi versi antitetici.

Il declino del primo fa la fortuna dell’altro.

Sarà la Borgata a diventare nei secoli XIX-XX il centro principale. La sua preminenza si fonda su tre elementi la chiesa di S.Francesco, nuova parrocchiale, il municipio, il mercato. “Andare a la Burgià” è sinonimo di convergenza verso quello che è il nuovo milieu del paese.

Non è un caso che tutta la storia, recente, paesana si giochi in questi spazi antistanti gli edifici religiosi e civili.

Il ruolo delle piazze

è un ruolo importante e assolutamente depotenziato, sottovalutato a Piossasco. Non abbiamo piazze a Piossasco!

Non abbiamo piazze dove si possa ritrovare tutti quegli elementi che rendono una piazza viva: l’arredo, i locali, la gente.

La piazza di S.Vito possiamo definirla ormai una piazza museale(senza nulla togliere al suo restyling); piazza P.Levi un aborto, per evidenti limiti di progettazione.

Piazza XX Settembre rimane un ibrido dove malconvivono elementi del paese rurale, come orti-cortili poco curati, nella parte bassa, palazzi e dimore che stilisticamente ondeggiano tra le mode dei tempi passati e moderni.

Che dire dell’arredo artistico (fontana e monumento); del primo non ci sono parole per la bruttezza e la trascuratezza a cui nulla possono contribuire nel migliorarla i poveri gerani penzuli.

Il monumento del 1919 è lì ormai ingombrante schiacciato dall’altezza del palazzo della banca. La visione dell’ala, la sua desolazione intristisce il cuore, si commenta da sè.

Come tutto questo possa rianimare o peggio riesumare il centro non può prescindere dalla scelta o meno di quale destino debba avere il futuro edificio municipale.

Nel passare ad una fase propositiva credo che non si possa non partire dai riferimenti simbolici del luogo. Edifici, monumenti, locali storici richiamano e fanno convergere la gente.

I simboli

elementi alquanto effimeri, non vanno però trascurati perchè sono proprio gli anelli di congiunzione tra le persone e il tessuto urbano.

I simboli quando non più esistenti o dissolti dal tempo vanno ricreati.

Pensare al rapporto Piossasco e sua simbologia evidenzia uno sgretolamento dei riferimenti che molti impercettibilmente hanno colto ma che nessuno ha mai pensato di curare.

Le chiese parrocchiali matrici si sono moltiplicate verso le periferie, la festa patronale della Madonna del Carmine ha rinunciato a qualsiasi manifestazione esterna di festa paesana (processione, banda, autorità…) per ridursi a una sagra delle giostre, dozzinale, rintracciabile tutto l’anno nelle periferie di Torino.

La piazza XX Settembre, troppo angusta per il mercato diffuso, ridotta a parcheggio continuo non può essere motivo di attrazione, nè per bellezza, nè per vivacità dei locali.

Il palazzo del comune, storico, ex-convento non è attraente esteticamente, neppure accattivante per i pochi uffici non ancora decentrati.

Il gioco di contrasto edificio religioso edificio civile che rende visibile i poteri cittadini qui è assolutamente svilito e forse neanche percepito come risorsa.

Si diceva dell’importanza delle piazze, io credo che bisogna partire da qui.

In primis da piazzale (piazza!!!) P.Levi che ha bisogno di essere qualcosa di più di uno spazio mercatale.

Alcuni simboli che rendono angusti gli spazi di piazza XX settembre, come il monumento ai caduti potrebbe essere trasferito in piazza Levi, nella parte alta con lo sfondo scenografico del S.Giorgio che ne libererebbe l’altezza della stele.

La fontana di piazza XX Settembre

potrebbe così essere, riveduta e corretta nei materiali d’arredo, con canne dell’acqua a forma di merlo, con giochi d’acqua, portata più verso il centro dello spazio, dove in passato si trovava effettivamente.

Così liberata la piazza potrebbe essere settimanalmente il luogo del commercio delle verdure e della frutta.

L’ala potrebbe rianimarsi trasportandovi l’edicola su un angolo(come fu in passato), e il muro potrebbe essere dipinto in toto in un grande affresco riassuntivo della storia cittadina.

Il gioco del passaggio tra le tre piazze: T.Nicola, A.Diaz e XX Settembre, da una all’altra, va studiato in una sinergia di spazi collegati al corridoio che porta alla Levi e ad un parcheggio veloce.

È evidente che avendo il comune gli edifici laterali la chiesa di S.Francesco il luogo ideale per mantenere il municipio sia questo, per la evidente carica simbolica.

La soluzione migliore sarebbe unire l’ala del vecchio monastero e la casa del portone(che potrebbe essere studiato come corte aperta) fino all’angolo di via Roma.

Con una progettazione mista che abbini vecchio conservato, e nuovo accostato, magari con un cromatismo esterno che lo identifichi come blocco unico.

Un elemento da curare è l’arredo e il suo abbinamento con il verde. Su una piazza bisogna potersi sedere.

A Piossasco sedersi in piazza è una impresa.

Le panchine sono assolutamente carenti( con l’unica eccezione di Piazza Gallino migliorabile comunque), sistemate, le poche, in modo assolutamente schizzofrenico senza nessun criterio che tenga conto dell’ ombra e del sole.

Se poi vogliamo parlare del verde che arreda, un simbolo potrebbero essere le fioriere in legno, stile Venaria, più che sistemate, abbandonate in fondo a Piazza XX Settembre.

In sé rappresentano l’incongruità del problema verde a Piossasco, il tentativo di volare alto in modo assolutamente improvvisato.

La domanda è chi si occupa del verde urbano a Piossasco, che sia nel centro o in periferia?

La questione non è (o non è soltanto) se funziona il sistema di appalto del taglio di ripe e fossi due o tre volte all’anno ma se un paese che è diventato città possa permettersi di delegare questo problema al primo cantoniere o ditta di servizio.

Piossasco ha avuto per anni un vivaio provinciale che ha fornito, elargito ( molte volte gratis) piante a tutto il torinese e non è riuscito a fare con esso una politica di pianificazione e impianto del verde nel tessuto cittadino.

Gli alberi messi per contratto nelle aree nuove spesso muoiono per scarsa manutenzione, irrigazione e nessuno se ne cura.

È inutile puntare sul sistema parco di S.Giorgio se poi il verde cittadino è abbandonato a se stesso ed è immagine di desolazione.

Un terzo punto

è a mio avviso il tema del “celebrare la città”. Un luogo si identifica anche con i suoi monumenti, opere d’arte che ne abbelliscono piazze, viali giardini.

In Piossasco la presenza di questi è misera, relegata alla memoria militare: una stele, un cannone, una lapide-bicicletta, un medaglione dedicato a Cruto.

Rispetto all’inventore della lampadina neanche il 150° della sua nascita è riuscito a partorire qualcosa di meglio di un trepiede già tutto sgembo.

Una grande occasione di arredare la città e rendere un giusto omaggio ad un concittadino, che molto si è speso nella riflessione sui centri urbani, è sistemare in modo diffuso le opere di Giuseppe Riccardo Lanza.

Anonime rotonde, che danno il benvenuto a coloro che entrano in città, slarghi, piazze, giardini ecc. ecc. potrebbero offrire l’occasione per riconoscere a questo artista nostrano il giusto merito (vedi convegno) .

Aiutare questa città ad essere meno anonima, più gradevole e attenta al presente, per chiarire meglio la sua immagine spendibile nel futuro.

Se poi il “partito” del palazzo comunale ristrutturato dovesse cedere il passo quello dell’edificio nuovo non tutto è perduto.

Ci sono casi emblematici di ricostruzioni ex novo di edifici pubblici in cui la vecchia simbologia viene in tutto riproposta.

L’esempio

è il comune di Brembate di Sopra, nella periferia caotica tra Milano e Bergamo; mortificato dalle problematiche di disordine urbanistico simile alle nostre, figlie degli anni dell’industrializzazione.

Questo centro è riuscito a fare recentemente il nuovo municipio con piazza porticata su tre lati, parte centrale con timpano e orologio civico, e decorazioni che recuperano i canoni stilistici antichi.

La scelta tra ristrutturazione e nuovo non è a Piossasco solo un problema tecnico, ma riproporrebbe, un dejà vu, lo slittamento e svuotamento di una parte del paese che scivolerebbe ancor di più verso la sua periferia di sud-est e riproporrebbe comunque una riflessione su cosa debba essere in futuro il centro della Borgata.

Una nemesi storica che colpisce ancora una volta e ripropone quello che era già avvenuto per S.Vito, quando la Borgata era divenuta il centro della vita civica e commerciale del paese.

La storia si ripete, non credo sia opportuna questa deriva e svuotamento dei centri storici, sarebbe più utile invertire la tendenza attrarre dalle periferie verso il centro.

I vantaggi non sarebbero solo urbanistici, ne guadagnerebbe anche la coesione sociale.

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