Abside
Da manuale Dell’associazione Corona Verde di San Vito
Immagini e foto Franco Mottura testi di Gianfranco Martinatto
Il locale che ingloba l’ abside romanica, è costituito da una parte a pianta semicircolare, con una volta a superficie sferica e da una parte a pianta rettangolare con volta a botte.
Il pavimento è in parte in cotto ed in parte in pietra.
E’ la parte più antica di tutto il complesso religioso, risalendo questa struttura all’XI secolo.
In una carta settecentesca è indicata col nome di Cappella del sig. Conte di Beinasco.
Per un certo periodo questa cappella fu utilizzata come sacrestia, venne quindi abbandonata perché nel sottosuolo aveva il sepolcro dei Conti di Piossasco.
E’ visibile la botola di accesso alla Cripta sotterranea adibita a sepolture.
Sulla volta è rappresentato in rilievo lo stemma dei Nove Merli.
L’altare è realizzato in stucco interamente decorato e trattato a finto marmo.
Il quadro dell’ abside rappresenta “la Madonna Assunta in cielo” contornata da angeli e santi.
Madonna Assunta in cielo
Sulla Sinistra
Luca con il suo animale simbolo, il Toro (simbolo del sacrificio) oppure il vitello (simbolo di tenerezza, mansuetudine), una tavolozza e un quadro della Madonna con Bambino, sulla destra una figura di donna in abiti regali (porpora e ermellino) probabilmente rappresentante S. Elisabetta del Portogallo.
Gli elementi accostati all’evangelista sono rintracciabili in una leggenda circolante dal V° secolo che vuole S. Luca dottore e pittore. Ad un suo dipinto si richiamano tutte le copie di Madonne Nere diffuse in Occidente (ad es. Oropa, Montserrat).
L’attribuzione dei simboli degli evangelisti trae origine dai padri della Chiesa e fanno riferimento al profeta Ezechiele (cap. 1, 4-10), e all’Apocalisse di San Giovanni Evangelista (cap. 4, 6-7).
Il leone per San Marco, l’Angelo per San Matteo, il toro o il vitello per San Luca, l’Aquila per San Giovanni.
“La visione di Ezechiele”, dipinto di Raffaello Sanzio a Palazzo Pitti, Firenze, illustra detta simbologia.
Elisabetta del Portogallo
(conosciuta anche come Isabella d’Aragona),
figlia del Re di Navarra (Aragona) sposa Dionigi del Portogallo; alla morte del marito rinuncia al trono, diventa terziaria francescana e si ritira nel monastero di Coimbra.
L’accostamento dell’evangelista e di questa santa va forse cercato nell’esordio del Vangelo di Luca che comincia proprio con la narrazione del sacrificio di San Zaccaria e Santa Elisabetta.
Il fatto che sia in questo luogo è da rimandare al fatto che S. Elisabetta veniva invocata anche nella buona morte (per la presenza delle sepolture nella cripta sotterranea).
La spogliazione dei propri beni (trono e ricchezze) di S. Elisabetta del Portogallo è altamente simbolico. S. Elisabetta del Portogallo è riconosciuta patrona degli ammalati
Dipinti Cappella Absidale
Nella cappella absidale sono presenti i seguenti dipinti
- San Giorgio
- La Madonna del Carmelo; da notare l’effetto vagamente bizantineggiante.
- Santa Elisabetta d’Ungheria, mentre fa l’elemosina ai poveri, di Vittorio Amedeo Rapous (?); è databile 1757 circa; Il dipinto era originariamente nella Cappella di Santa Elisabetta (Cappella della Confraternita); dal 1964 è conservato nell’abside della chiesa di San Vito.
Il dipinto di Santa Elisabetta d’Ungheria
La tela narra la vicenda della Sant’Elisabetta d’Ungheria in atto di donare alcune monete ad un povero, celebrando così una delle opere di misericordia messe in atto dalla santa durante la sua vita.
La donna è vestita con abiti sontuosi, riferimento alle sue nobili nozze con Ludovico IV, che appaiono caratterizzati dal forte contrasto cromatico tra il rosso chiaro della veste, il bianco ornato da ricami dorati della stoffa che le cinge il busto e buona parte degli arti inferiori, e il mantello blu chiuso sul petto con una spilla ornata forse da un rubino.
Il capo della Santa, è decorato da una corona di perle e da un velo che le cade sulle spalle, nascondendo buona parte dell’acconciatura.
Sant’Elisabetta, senza tradire alcuna emozione, col capo chino verso il povero, dona ad esso alcune monete, raccolte dal piccolo sacco che tiene nella mano sinistra.
Il popolano, anch’esso privo di connotazione psicologica, è presentato con i tratti fisiognomici vistosamente marcati, espediente messo in atto dal pittore per contrapporre la bellezza regale della Santa, alla bruttezza del povero.
Quest’ultimo, in ginocchio davanti alla Santa in atto di porgere un fazzoletto per ricevere le monete, presenta una veste di colore blu, bianco e rosso.
Riprende evidentemente la cromia della veste della Santa, e che lascia trasparire la nudità di buona parte del busto e delle gambe profondamente analizzate nell’ anatomia.
Alle loro spalle
Sulla sinistra sono collocati una donna che si rivolge a Elisabetta tendendo la mano destra, mentre con la sinistra sorregge il figlio di pochi anni addormentato sulla sua spalla, la cui condizione umile è sottolineata dalle vesti sbiadite legate con lacci.
Alle spalle della Santa spunta un giovane angelo, che indica la chiesa sullo sfondo e i personaggi che si rivolgono a Elisabetta.
Sdraiato su una nuvola, e abbigliato con una veste rosa legata in vita, cinta da panni blu e gialli scossi dal vento, diversamente dalle ali e dai capelli molto sottili e ricci.
Sulla destra di Sant’Elisabetta un piccolo paggio si sporge per poter osservare la vicenda, essendogli la vista preclusa dalle vesti della santa: indossa una veste bianca e un copricapo verde e tiene in mano la corona di Sant’Elisabetta.
Sulla parete di fronte all’altare
(fino al 2010 circa) era stata riposta la tela del SS. Crocifisso.
Questa tela era originariamente collocata sull’omonimo altare della navata sinistra, ma nel 1973 venne trasferita nella nuova Chiesa Parrocchiale dei Santi Apostoli al Marchile.
Il 18 ottobre 1975 fu gravemente danneggiata dall’incendio che provocò gravi danni alla nuova chiesa.
L’aspetto attuale è quello voluto dalla Soprintendenza ai Beni artistici e storici del Piemonte a seguito dell’intervento di restauro.
Questa icona settecentesca era una delle opere più preziose in possesso della Chiesa di San Vito; a lato compaiono l’autore e l’anno di realizzazione: “Vittorio Rapùs fecit 1756” e gli stemmi a doppio scudo rappresentanti entrambi il simbolo dei nove merli.
Si tratta probabilmente di un dono di due signori di Piossasco sposatisi tra di loro.
Da osservare la decorazione (sinopia?), rappresentante un ramarro, presente all’interno dell’antica monofora.
Recenti approfondimenti evidenziano che potrebbe trattarsi di una decorazione a fresco duecentesca realizzata in modo definitivo e quindi non di un disegno preparatorio: un affresco a monocromo in carminio
Sinopia: disegno preparatorio usato per la pittura a fresco. Terra rossa proveniente da Sinope, sul Mar Nero.
Nel 2004, sulla struttura dell’abside sono stati eseguiti importanti lavori di consolidamento strutturale (ricucitura di una profonda fessura sul muro perimetrale, interventi sulle fondazioni, rifacimento della copertura) e di restauro.