Storia e leggenda dei santi chiesa di San Vito

Storia e leggenda dei santi nei dipinti della chiesa di San Vito

Informazioni acquisite da

 Santi, beati e testimoni Enciclopedia dei Santi

SAN GREGORIO MAGNO

Papa (dal 03/09/590 al 12/03/604) e dottore della Chiesa

3 settembre Roma, 540 – 12 marzo 604

Nacque verso il 540 dalla famiglia senatoriale degli Anici e alla morte del padre Gordiano, fu eletto, molto giovane, prefetto di Roma.

Divenne poi monaco e abate del monastero di Sant’Andrea sul Celio. Eletto Papa, ricevette l’ordinazione episcopale il 3 settembre 590.

Nonostante la malferma salute, esplicò una multiforme e intensa attività nel governo della Chiesa, nella sollecitudine caritativa, nell’azione missionaria.

Autore e legislatore nel campo della liturgia e del canto sacro, elaborò un Sacramentario che porta il suo nome e costituisce il nucleo fondamentale del Messale Romano.

Lasciò scritti di carattere pastorale, morale, omiletico e spirituale, che formarono intere generazioni cristiane specialmente nel Medio Evo. Morì il 12 marzo 604.

Patronato: Cantanti, Musicisti, Papi

Emblema: Colomba (simbolo dell’ispirazione dello Spirito Santo), Gabbiano

SANT’AMBROGIO

Vescovo e dottore della Chiesa 7 dicembre

Treviri, Germania, c. 340 – Milano, 4 aprile 397

Ambrogio, di famiglia romana cristiana, governatore delle provincie del nord Italia, fu acclamato vescovo di Milano il 7 dicembre 374. 

Rappresenta la figura ideale del vescovo, pastore, liturgo, e mistagogo.

Aveva scelto la carriera di magistrato – seguendo le orme del papà, prefetto romano della Gallia – e a trent’anni si trovava già ad essere Console di Milano, città che era allora capitale dell’Impero.

Così, quel 7 dicembre dell’anno 374, in cui cattolici e ariani si contendevano il diritto di nominare il nuovo Vescovo, toccava a lui garantire in città l’ordine pubblico, e impedire che scoppiassero tumulti

L’imprevedibile accadde quando egli parlò alla folla con tanto buon senso e autorevolezza che si levò un grido: «Ambrogio Vescovo!».

E pensare che era soltanto un catecumeno in attesa del Battesimo! Cedette, quando comprese che quella era anche la volontà di Dio che lo voleva al suo servizio.

Cominciò distribuendo i suoi beni ai poveri e dedicandosi a uno studio sistematico della Sacra Scrittura.

Imparò a predicare, divenendo uno dei più celebri oratori del suo tempo, capace di incantare perfino un intellettuale raffinato come Agostino di Tagaste, che si convertì grazie a lui.

Da Ambrogio

la Chiesa di Milano ricevette un’impronta che si conserva ancor oggi, anche nel campo liturgico e musicale.

Mantenne stretti e buoni rapporti con l’imperatore, ma era capace di resistergli quand’era necessario, ricordando a tutti che «l’imperatore è dentro la Chiesa, non sopra la Chiesa».

Le sue opere liturgiche, i commentari sulle Scritture, i trattati ascetico-morali restano memorabili documenti del magistero e dell’arte del governo.

Autore di celebri testi liturgici, è considerato il padre della liturgia ambrosiana.

Patronato: Apicoltori, Vescovi, Lombardia, Milano e Vigevano

Emblema: Api, Bastone pastorale, staffile (cinghie di cuoio alle quali sono appese le staffe del cavallo), Gabbiano

SANT’AGOSTINO

Vescovo e Dottore della Chiesa 28 agosto Tagaste (Numidia), 13 novembre 354 – Ippona (Africa), 28 agosto 430 

Sant’Agostino nasce in Africa a Tagaste, nella Numidia – attualmente Souk-Ahras in Algeria – il 13 novembre 354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri.

Dalla madre riceve un’educazione cristiana, ma dopo aver letto l’Ortensio di Cicerone abbraccia la filosofia aderendo al manicheismo. Risale al 387 il viaggio a Milano, città in cui conosce sant’Ambrogio.

L’incontro si rivela importante per il cammino di fede di Agostino: è da Ambrogio che riceve il battesimo.

Successivamente ritorna in Africa con il desiderio di creare una comunità di monaci; dopo la morte della madre si reca a Ippona, dove viene ordinato sacerdote e vescovo.

Le sue opere teologiche, mistiche, filosofiche e polemiche – quest’ultime riflettono l’intensa lotta che Agostino intraprende contro le eresie, a cui dedica parte della sua vita – sono tutt’ora studiate.

Agostino per il suo pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa.

Mentre Ippona è assediata dai Vandali, nel 429 il santo si ammala gravemente. Muore il 28 agosto del 430 all’età di 76 anni

Patronato: Teologi, Stampatori Emblema: Bastone pastorale, Libro, Mitra, piviale

SAN GIROLAMO

Sacerdote e Dottore della Chiesa 30 settembre Stridone (confine tra Dalmazia e Pannonia), ca. 347 – Betlemme, 420

Fece studi enciclopedici ma, portato all’ascetismo, si ritirò nel deserto presso Antiochia, vivendo in penitenza.

Divenuto sacerdote a patto di conservare la propria indipendenza come monaco, iniziò un’intensa attività letteraria.

A Roma collaborò con papa Damaso, e, alla sua morte, tornò a Gerusalemme dove partecipò a numerose controversie per la fede, fondando poco lontano dalla Chiesa della Natività, il monastero in cui morì.

Di carattere focoso, soprattutto nei suoi scritti, non fu un mistico e provocò consensi o polemiche, fustigando vizi e ipocrisie.

Scrittore infaticabile, grande erudito e ottimo traduttore, a lui si deve la Volgata in latino della Bibbia, a cui aggiunse dei commenti, ancora oggi importanti come quelli sui libri dei Profeti.

Patronato: Archeologi, Bibliotecari, Studiosi, Traduttori

Emblema: Crocifisso, galero cardinalizio (cappello rosso), leone, libro, il teschio Cappello da cardinale

SAN PAOLO

29 giugno Sec. I Emblema: spada

Paolo di Tarso, nato con il nome di Saulo e noto come san Paolo per il culto tributatogli (Tarso, 5-10 – Roma, 64-67), è stato uno scrittore e teologo cristiano.

È stato l’«apostolo dei Gentili», o “apostolo delle genti” ovvero il principale (secondo gli Atti degli Apostoli non il primo) missionario del Vangelo di Gesù tra i pagani greci e romani.

Secondo i testi biblici, Paolo era un ebreo ellenizzato, che godeva della cittadinanza romana.

Non conobbe direttamente Gesù, sebbene a lui coevo, e, come tanti connazionali, avversava la neo-istituita Chiesa cristiana, arrivando a perseguitarla direttamente.

Sempre secondo la narrazione biblica, Paolo si convertì al cristianesimo mentre, recandosi da Gerusalemme a Damasco per organizzare la repressione dei cristiani della città, fu improvvisamente avvolto da una luce fortissima e udì la voce del Signore, che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”.

Reso cieco da quella luce divina, Paolo vagò per tre giorni a Damasco, dove fu poi guarito dal capo della piccola comunità cristiana di quella città, Anania.

L’episodio, noto come “conversione di Paolo”, diede l’inizio all’opera di evangelizzazione di Paolo.

Come gli altri primi missionari cristiani

rivolse inizialmente la sua predicazione agli ebrei, ma in seguito si dedicò prevalentemente ai «Gentili».

I territori da lui toccati nella predicazione itinerante furono in principio l’Arabia (attuale Giordania), poi soprattutto l’Acaia (attuale Grecia) e l’Asia minore (attuale Turchia).

Il successo di questa predicazione lo spinse a scontrarsi con alcuni cristiani di origine ebraica, che volevano imporre ai pagani convertiti l’osservanza dell’intera legge religiosa ebraica, in primis la circoncisione.

Paolo si oppose fortemente a questa richiesta e, con il suo carattere energico e appassionato, ne uscì vittorioso.

Fu fatto imprigionare dagli ebrei a Gerusalemme con l’accusa di turbare l’ordine pubblico.

Appellatosi al giudizio dell’imperatore – come era suo diritto, in quanto cittadino romano – Paolo fu condotto a Roma, dove fu costretto per alcuni anni agli arresti domiciliari, riuscendo però a continuare la sua predicazione.

Morì vittima della persecuzione di Nerone, decapitato probabilmente tra il 64 e il 67.

L’influenza storica di Paolo nell’elaborazione della teologia cristiana è stata enorme: mentre i Vangeli si occupano prevalentemente di narrare le parole e le opere di Gesù, le lettere paoline definiscono i fondamenti dottrinali del valore salvifico della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione – ripresi dai più eminenti pensatori cristiani dei due millenni successivi.

Le tredici lettere di Paolo del Nuovo Testamento sono scritte in greco. Tradizionalmente sono considerate redatte tra gli anni cinquanta e 60, durante il suo ministero itinerante e la prigionia a Cesarea e/o Roma.  

SAN PIETRO

29 giugno sec. I     Emblema: chiavi

Il suo primo nome fu Simone. Suo padre Jonas era un pescatore ed insegnò anche al figlio il suo duro mestiere.

La famiglia di Simone risiedeva a Bethsaida, una città della Galilea inferiore, sulle rive del Lago di Gennesareth o Lago di Tiberiade.

Fu proprio sulle rive del lago che Simone incontrò per la prima volta Gesù: dopo averne ascoltato le parole di fede egli decise di diventare suo discepolo, abbandonando il lavoro e la sua famiglia.

Lo accompagnò nella nuova missione, il fratello minore Andrea, che già lo aiutava nella pesca. Gesù lo soprannominò “Cefa”, che in aramaico significa “pietra”.

Quando Cristo scelse i dodici apostoli assegnò a Pietro un ruolo molto impegnativo: “Tu sei Pietro e su di te costruirò la mia Chiesa… ti darò le chiavi del Regno dei Cieli…”

Dopo la sua Risurrezione, Cristo gli apparve sul Lago di Tiberiade; gli conferì il primato della Chiesa nascente, perdonandogli l’unico momento di incertezza dell’Apostolo, che ne aveva rinnegato il nome per tre volte prima della Crocifissione.

Dopo la Pentecoste, Pietro parlò alla folla riunita sulla spianata del Tempio di Gerusalemme; nella stessa città presedette nel 50

il Concilio degli Apostoli

che decise la destinazione di ciascuno. Sempre a Gerusalemme Pietro, tra il 45 ed il 55 scrisse una prima epistola destinata agli Ebrei cristianizzati.

Successivamente, intorno all’anno 60, Pietro si recò a Roma, dove al suo arrivo, fu accolto senza ostilità e potè muoversi liberamente.

Ma l’atteggiamento di Nerone mutò rapidamente ed i cristiani iniziarono ad essere perseguitati.

Pietro decise allora di abbandonare la città, ma Gesù stesso gli apparve lungo la strada convincendolo a ritornare e ad accettare con serenità la morte.

Pietro fu allora arrestato e gettato nello stesso carcere in cui era rinchiuso San Paolo.

Dopo otto mesi di prigionia venne crocifisso a testa in giù, perché non voleva morire come il Signore.

Il luogo del martirio, la collina del Vaticano, è lo stesso in cui il Santo fu sepolto e sulla sua tomba venne edificata successivamente la Basilica di San Pietro.

A Roma, poco prima della morte, scrisse una seconda epistola; entrambe le lettere di Pietro sono parte integrante del Nuovo Testamento.

SANTA ELISABETTA D’UNGHERIA

Sec. XIII Emblema: Cesto di pane

Figlia di Andrea, re d’Ungheria e di Gertrude, nobildonna di Merano, ebbe una vita breve.

Nata nel 1207 vicino all’odierna Bratislava, a quattro anni di età è già fidanzata: i genitori l’hanno promessa in sposa a Ludovico, figlio ed erede del sovrano di Turingia.

Sposa a quattordici anni, madre a quindici, restò vedova a 20. Il marito, Ludovico IV morì ad Otranto in attesa di imbarcarsi con Federico II per la crociata in Terra Santa.

Elisabetta aveva tre figli. Dopo il primogenito Ermanno vennero al mondo due bambine: Sofia e Gertrude, quest’ultima data alla luce già orfana di padre.

Alla morte del marito, Elisabetta si ritirò a Eisenach, poi nel castello di Pottenstein per scegliere infine come dimora una modesta casa di Marburgo dove fece edificare a proprie spese un ospedale, riducendosi in povertà.

Iscrittasi al terz’ordine francescano, offrì tutta sé stessa agli ultimi, visitando gli ammalati, facendosi mendicante e attribuendosi sempre le mansioni più umili.

La sua scelta di povertà scatenò la rabbia dei cognati che arrivarono a privarla dei figli. Morì a Marburgo, in Germania il 17 novembre

1231, subito “gridata santa” da molte voci, che inducono papa Gregorio IX a ordinare l’inchiesta sui prodigi che le si attribuiscono.

Un lavoro reso difficile da complicazioni anche tragiche: muore assassinato il confessore di lei; l’arcivescovo di Magonza cerca di sabotare le indagini.

Ma Roma le fa riprendere. E si arriva alla canonizzazione nel 1235 sempre a opera di papa Gregorio. 

I suoi resti sono custoditi a Vienna.

E’ compatrona dell’Ordine Francescano secolare assieme a S. Ludovico.

SANTA ELISABETTA DEL PORTOGALLO, REGINA

Sec. XIII-XIV

Nacque a Saragozza, in Aragona (Spagna), nel 1271, figlia del re di Spagna Pietro III. A otto anni, Elisabetta aveva già imparato a recitare ogni giorno l’ufficio divino, a soccorrere i poveri e a praticare rigorosi digiuni.

La sua infanzia fu di corta durata perché a soli 12 anni venne data in sposa a Dionigi, re del Portogallo, da cui ebbe due figli.

Fu un matrimonio travagliato dalle infedeltà del marito ma in esso Elisabetta seppe dare la testimonianza cristiana che la portò alla santità.

Alla morte del marito donò i suoi averi ai poveri e ai monasteri, diventando terziaria francescana.

Dopo un pellegrinaggio al santuario di Compostela, in cui depose la propria corona, si ritirò nel convento delle clarisse di Coimbra, da lei stessa fondato.

Non ci furono difatti chiese, ospedali o monasteri alla cui costruzione ella non contribuisse con regale generosità.

Alcuni ne fece costruire, ella stessa. Dopo la morte avvenuta nel 1336 ad Estremoz in Portogallo, il suo corpo fu riportato al monastero di Coimbra.

Nel 1612 lo si troverà incorrotto, durante un’esumazione, collegata al processo canonico per proclamarla santa. Fu canonizzata a Roma da Urbano VIII nel 1625.  

SAN VALERIANO

Sec. III Soldato della Legione Tebea

La figura del martire San Valeriano non va confusa con quella dell’omonimo presunto promesso sposo della martire romana Santa Cecilia, anche se il loro ricordo si celebra nel medesimo giorno.

San Valeriano venerato a Cumiana ed in altre località del Piemonte, rientra nel folto gruppo dei martiri appartenenti alla Legione Tebea (o Tebana, dalla Città di Tebe), capitanata da San Maurizio, e sterminata nel Vallese nei pressi dell’antica Agaunum, ove oggi sorge il centro di Sainte Maurice.

Secondo una tradizione molto consolidata nei territori dell’arco alpino nord occidentale , non tutti i soldati furono uccisi sulle rive del Rodano, molti riuscirono a fuggire e a raggiungere le vallate della Valle d’Aosta, del Piemonte e della Lombardia.

In questi luoghi svolsero opera di evangelizzazione presso le popolazioni ancora pagane e testimoniarono col sacrificio della vita la loro fede, o perché raggiunti da altri soldati mandati al loro inseguimento, o uccisi per mano di persecutori locali.

Valeriano

dunque, secondo la tradizione, avrebbe raggiunto il territorio di Cumiana e lì si sarebbe dedicato alla diffusione della buona novella presso gli abitanti del luogo.

Venne decapitato da un drappello di soldati che scoprirono il suo nascondiglio: il santo, prima di morire si inginocchiò e sulla pietra rimasero impresse le impronte delle sue ginocchia.

Sul luogo del martirio, a circa un chilometro dalla frazione di Tavernette, venne poi innalzata una cappella votiva, ancor oggi esistente anche se in una più recente riedificazione, in cui è visibile il sasso del prodigio.

E’ molto probabile che questa tradizione sia da ricollegarsi all’esigenza di sacralizzare un luogo di culto pagano, dove si praticavano particolari riti litici, un fenomeno documentato per numerosi altri santuari dell’arco alpino e non.

Nei pressi della cappella sorge il santuario vero e proprio terminato nel 1787.

La festa annuale di San Valeriano si celebra il lunedì dell’Angelo; il suo nome venne segnato nei calendari al 14 di aprile, giorno in cui è commemorato l’omonimo martire romano.

Poiché tale giorno cade frequentemente in quaresima o nella Settimana Santa, la celebrazione venne fissata al giorno successivo la Pasqua, una giornata festiva che favorisce la partecipazione dei fedeli alla processione e alla successiva celebrazione eucaristica nel santuario.

Il santo è raffigurato nell’arte come un soldato romano.

La Legione tebea

La legione tebea o legione tebana è il nome attribuito ad una legione romana nella letteratura agiografica cristiana: sarebbe stata totalmente decimata per ordine dell’imperatore Massimiano, in quanto i suoi componenti (6.600 uomini al comando di san Maurizio) si erano rifiutati di giustiziare alcuni cristiani del Vallese.

Secondo Eucherio, vescovo di Lione (c. 434450), questa legione era composta interamente da cristiani egiziani e prestava servizio ai confini orientali dell’impero.

Negli ultimi anni del III secolo la legione fu trasferita nell’Europa centrale, operando tra Colonia e il versante settentrionale delle Alpi, sotto il comando del generale Massimiano, che nel 285 sarebbe stato nominato Caesar dall’imperatore Diocleziano e che l’anno successivo avrebbe ricevuto il titolo di Augustus.

Come responsabile della parte occidentale dell’Impero, Massimiano era impegnato contro Quadi e Marcomanni, che superando il Reno facevano incursioni in Gallia, e contro le rivolte contadine dei Bagaudi.

I soldati eseguirono brillantemente la loro missione, tuttavia, quando Massimiano ordinò di perseguitare (ed uccidere) alcune popolazioni locali del Vallese convertite al cristianesimo, molti tra i soldati tebani si rifiutarono.

Massimiano ordinò una severa punizione per l’unità e, non bastando la sola flagellazione dei soldati ribelli, si decise di applicare la decimazione, una punizione militare che consiste nell’uccisione di un soldato su dieci, mediante lapidazione o bastonate.

Seguirono altri ordini che la legione rifiutò ancora di eseguire, sotto l’incoraggiamento del suo comandante Maurizio, anch’egli cristiano.

Venne quindi ordinata una seconda decimazione ed infine l’intera legione venne sterminata (6.600 uomini). Il luogo del massacro fu Agaunum oggi San Maurizio in Vallese, sede dell’omonima abbazia.

Dei due soli santi inizialmente noti come provenienti da tale legione e scampati all’eccidio di Agaunum, nel corso degli anni il numero delle personalità legate a tale leggenda è salito fino a quattrocento circa, tra i quali ricordiamo:

Alcuni storici hanno messo in dubbio la veridicità della leggenda della legione Tebana, evidenziando che la decimazione non era praticata e che la militanza dei cristiani in una legione prima di Costantino I era un fatto abbastanza raro.

SAN GIORGIO

23 aprile sec. IV

Emblema: drago, palma, stendardo

Giorgio, il cui sepolcro è a Lidda presso Tel Aviv in Israele, venne onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa.

Lo straordinario culto verso San Giorgio ha origini molto antiche, tant’è che il suo sepolcro era meta di pellegrini già all’epoca delle crociate, quando il Sultano Saladino vi fece abbattere la chiesa eretta in suo onore.

L’immagine del coraggioso cavaliere che lotta contro il drago, diffusasi verso la fine del medioevo, trae origine dalla leggenda creatasi attorno a questo martire e riferita in vari modi dalle molte Passioni.

Tale leggenda narra che un orribile drago uscisse di tanto in tanto dal fondo di un lago e si apprestasse alle mura della città seminando morte.

Per tenere lontano tale flagello, le popolazioni locali offrivano al mostro giovani vittime, estratte a sorte. Un giorno toccò alla figlia del re offrirsi in pasto al drago.

La principessa pareva irrimediabilmente votata all’atroce fine quando in suo aiuto giunse un coraggioso cavaliere proveniente dalla Cappadocia.

Il suo nome era Giorgio.

Il guerriero sguainò la sua spada e ridusse il terrificante drago come un mite agnellino, che la giovinetta portò al guinzaglio dentro le mura della città, ormai inoffensivo, tra lo stupore degli abitanti.

Il misterioso cavaliere li rassicura dicendo loro di essere venuto a vincere il drago in nome di Cristo, perché si convertissero e fossero battezzati.

Anche la gloriosa fine di questo martire ha lo stesso sapore di leggenda.

Condannato a morte per aver rinnegato gli dèi dell’impero, i carnefici sperimentarono, ma invano, sul suo corpo i più atroci tormenti.

Molti cristiani, di fronte alla testimonianza di Giorgio, trovarono la forza di rendere testimonianza a Cristo con l’estremo olocausto della loro vita.

Infine anche San Giorgio, ancora in giovane età, venne martirizzato con la decapitazione.

San Giorgio, raffigurato nell’iconografia come cavaliere che affronta il drago come simbolo della fede che trionfa sulla forza del maligno, è per questo, considerato protettore dei cavalieri e dei soldati.

SANT’ORSOLA 

E LE 11.000 VERGINI Sec. IV-V

La leggenda delle undicimila vergini, ebbe forse origine da un errore di trascrizione dove era indicato il “martirio di Orsola e delle sue compagne ad undecim milia (o ad undecim miliarium)”, ovvero in un luogo a undici miglia (o all’undicesimo miliario) dalla città di Colonia.

Questa leggenda, comunque, ha una base storica, come ha dimostrato il ritrovamento di una iscrizione presso una chiesa di Colonia.

L’iscrizione parla del martirio di Orsola e di altre dieci vergini (divenute 11.000 per un piccolo segno sul numero romano XI), martirio avvenuto probabilmente sotto Diocleziano.

Una “Passio” del X secolo narra di una giovane d’eccezionale bellezza, Orsola, figlia di un sovrano bretone, che si era segretamente consacrata a Dio ma fu chiesta in sposa dal principe pagano Ereo.

Il rifiuto da parte della nobile avrebbe scatenato una guerra ed anche per questo, consigliata da un angelo nel corso di una visione avuta in sogno, chiese di poter rimandare la decisione di tre anni, per meglio comprendere la volontà del Signore e nella speranza che il promesso sposo si convertisse al cristianesimo e cambiasse idea.

Allo scadere del tempo stabilito, ancora esortata da un messaggero divino, Orsola prese il mare con undicimila compagne e raggiunse il continente.

Risalì il corso del Reno fino a Colonia e successivamente a Basilea, in Svizzera, da dove proseguì a piedi, in pellegrinaggio, fino a Roma.

A Roma Orsola e le sue compagne furono accolte da “papa Ciriaco”, personaggio sconosciuto alla storia.

Successivamente, di ritorno in patria per la stessa via, transitò per Colonia, che nel frattempo era stata conquistata da Attila: qui le undicimila vergini, esortate da Orsola alla fermezza, furono subito trucidate dalla furia dei barbari in un solo giorno, mentre il famigerato re unno, invaghito dalla sua bellezza, risparmiò Orsola, che chiese anch’egli in sposa, promettendole salva la vita.

Al suo rifiuto la fece però uccidere a colpi di freccia. Orsola, il cui nome deriva dal latino Ursula che significa “piccola orsa”, fu venerata in tutta Europa, e già dall’VIII secolo si hanno notizie del culto delle undicimila vergini.

È possibile che nella leggenda di sant’Orsola ci sia un lontano ricordo di un mito pagano relativo alla dea Freyja che, col nome di Horsel od Ursel, accoglieva nell’al di là le fanciulle defunte.

Orsola divenne la protettrice degli educatori e delle università, dei mercanti di tessuti e dei bambini malati.

SAN CRISTOFORO

III secolo

Etimologia: Cristoforo= portatore di Cristo Emblema: gigante, palma

Il testo più antico dei suoi Atti, in edizione latina, risale oltre il sec. VIII. Secondo i sinassari (antichi testi inerenti le biografie dei santi – sinassari storici -).

 Cristoforo era un guerriero appartenente a una rozza tribu di antropofagi (che si cibano di carne umana); si chiamava Reprobo e nell’aspetto “dalla testa di cane” (come lo definiscono gli Atti) dimostrava vigoria e forza. 

Jacopo da Varagine (sec. XIII), con la sua Legenda Aurea,

fu l’autore che in Occidente rese celebre Cristoforo. Secondo questo testo, egli era un giovane gigante che si era proposto di servire il signore più potente.

Per questo fu successivamente al servizio di un re, di un imperatore, poi del demonio, dal quale apprese che Cristo era il più forte di tutti: di qui nacque il desiderio della conversione. 

Da un pio eremita fu istruito sui precetti della carità: volendo esercitarsi in tale virtù e prepararsi al battesimo, scelse un’abitazione nelle vicinanze di un fiume, con lo scopo di aiutare i viaggiatori a passare da una riva all’altra.

Una notte fu svegliato da un grazioso fanciullo che lo pregò di traghettarlo; il santo se lo caricò sulle spalle, ma più s’inoltrava nell’acqua, più il peso del fanciullo aumentava e a stento, aiutandosi col grosso e lungo bastone, riuscì a guadagnare l’altra riva.

Qui il bambino si rivelò come Cristo e gli profetizzò il martirio a breve scadenza. Dopo aver ricevuto il battesimo, Cristoforo si recò in Licia a predicare e qui subì il martirio nell’anno 250..

Se nel Medioevo Cristoforo era venerato come protettore dei viandanti e dei pellegrini prima di intraprendere itinerari difficili e pericolosi, oggi il santo è divenuto il protettore degli automobilisti, che lo invocano contro gli incidenti e le disgrazie stradali.

Varie altre categorie si affidano alla sua tutela: i portalettere, gli atleti, i facchini, gli scaricatori e, in genere, coloro che esercitano un lavoro pesante ed esposto a vari rischi.

Fa parte dei quattordici santi ausiliatori, di quei santi, cioè, invocati in occasione di gravi calamità naturali.

Il testo più antico dei suoi Atti risale all’VIII secolo. In un’iscrizione del 452 si cita una basilica dedicata a Cristoforo in Bitinia.

Cristoforo fu tra i santi più venerati nel Medioevo; il suo culto fu diffuso soprattutto in Austria, in Dalmazia e in Spagna. Chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente.

SAN SEBASTIANO

Milano 263 ca. – Roma 304 ca.

Emblema: freccia, palma

Le notizie storiche su san Sebastiano sono davvero poche, ma la diffusione del suo culto ha resistito ai millenni, ed è tuttora molto vivo. San Sebastiano fu sepolto nelle catacombe che ne hanno preso il nome.

Il suo martirio avvenne sotto Diocleziano.

Secondo i racconti della sua vita sarebbe stato un cavaliere valsosi dell’amicizia con l’imperatore per recare soccorso ai cristiani incarcerati e condotti al supplizio.

Avrebbe fatto anche opera missionaria convertendo soldati e prigionieri. Lo stesso governatore di Roma, Cromazio, e suo figlio Tiburzio, da lui convertiti, avrebbero affrontato il martirio.

Tutto ciò non poteva passare inosservato a corte, tanto che Diocleziano stesso convocò Sebastiano. Inizialmente si appellò alla vecchia familiarità:

«Ti avevo aperto le porte del mio palazzo e spianato la strada per una promettente carriera e tu attentavi alla mia salute».

Poi passò alle minacce e infine alla condanna. Venne legato al tronco di un albero, in aperta campagna e saettato da alcuni commilitoni.

SAN VITTORIO – VITTORE

III secolo

Soldato della Legione Tebea

Emblema : spada, palma, Croce Mauriziana, stendardo

I santi Vittore – Vittorio – e Urso sono ritenuti dalle fonti più antiche gli unici soldati della Legione Tebea scampati all’eccidio di Agauno (odierna Saint-Maurice in Svizzera) e come tali ricordati anche dal nuovo Martyrologium Romanum.

Scampati all’eccidio i due compagni di fede trovarono rifugio presso l’antica Salodurum, odierna cittadina svizzera di Soleure.

Sorpresi dal governatore Astaco, questi li imprigionò e li fece torturare, ma essi furono miracolosamente liberati.

Poterono così riprendere a dedicarsi alla predicazione della Buona Novella agli abitanti del luogo, ma ciò comportò nuovamente il loro arresto e la condanna a morte.

Furono decapitati dopo innumerevoli torture con altri 66 compagni.

Furono inizialmente sepolti in Svizzera, in seguito le reliquie di San Vittore furono traslate a Ginevra, su iniziativa della regina di Borgogna Teodosinda e grazie alla principessa Sedeloba, divenuta suor Corona, fece erigere una chiesa in onore del santo in tale città, poi riutilizzata quale tempio calvinista.

Il presupposto che i due santi (Urso e Vittore) con altri leggendari 66 compagni, abbiano militato nella Legione Tebea ha automaticamente conferito loro la presunta nazionalità egiziana e ciò ha contribuito alla diffusione del culto anche presso la Chiesa Copta, che venera dunque specificatamente non solo San Maurizio ma anche tutti quei suoi leggendari compagni il cui ricordo si è diffuso in un qualche piccolo santuario d’Europa.

L’iconografia relativa a San Vittore presenta la palma del martirio, la spada, lo stendardo con croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana sul petto.

 ALTRI SANTI RAFFIGURATI NELLA CHIESA DI SAN VITO

Sant’Urbano

San Desiderio

Santa Lucia

Sant’Antonio da Padova

Santa Margherita Maria Alacoque

Dodici Apostoli

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