Intervento di Gianfranco Martinatto
Inserto in Piossasco 1943-1946 Dal fascismo alla Democrazia di E.Marchisio To 2017.
SONO UN TESTIMONE DEI TESTIMONI”
Non si può parlare di vera industria a Piossasco negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento. Le attività allora presenti possono essere classificate nell’ambito artigianale o poco più su in quello manifatturiero.
Ritroviamo alcune dinastie di distillatori: i Reinaudi, i Baudino gli Oberto. Nel campo delle brusche: i Fenoglio, in quello alimentare i Mondino. È la I Guerra Mondiale a offrire soprattutto agli spazzolifici una opportunità di fare un salto qualitativo in termini di commesse. Negli anni venti fa la comparsa un feltrificio (Il Subalpino).
L’industria metalmeccanica è assente almeno fino agli anni trenta. La FIAT e le altre ditte nate a fine Ottocento a Torino non erano ancora occasione di commesse. La prima attività legata alla metalmeccanica che si ricordi in Piossasco era collocata al fondo dell’attuale via Borsi. Attingo ai ricordi familiari, perché per mio padre del 1921, fu il suo primo impiego.
La Boita
La fabbrica, o come si usava dire da queste parti, la boita, sotto una tettoia aveva già alcuni torni. Tuttavia era ancora un ibrido tra una bottega da fabbro e una officina metalmeccanica.
Si faceva di tutto: dagli attrezzi per la campagna ai tiranti per i primi aerei.

Cav. Riccardo Manzone proprieterio della FRAP

Atto Frap
Le produzioni erano limitate nel numero e si cambiava spesso articolo. I proprietari erano Umberto Piatti, Raffaele Mondino(?) e altri. Fu da questa attività che si giungerà alla fondazione di quella, che sarà, fino agli anni Novantacinque dello scorso secolo, la fabbrica piossaschese per antonomasia: la FRAP.
In effetti Umberto Piatti lo troveremo, agli inizi del secondo dopoguerra, per un breve periodo tra i soci fondatori della fabbrica di ricambi piossaschese e mio padre seguirà il suo primo padrone in questa transazione.
Ci fu però un interregno tra la fabbrica di via Borsi e la successiva fondazione della FRAP, ed è il periodo della seconda guerra mondiale.
Per parlare di questo bisogna dare alcune delucidazioni sugli aspetti del centro piossaschese. Due episodi della storia nazionale avevano mutato la geografia paesana. Uno era stato l’uccisione, il 29 luglio del 1900, del Re Umberto I a cui il paese aveva dedicato la costruzione della nuova scuola elementare.
Il secondo, la tragedia della Prima Guerra Mondiale aveva indotto il comune a riservare un luogo alla memoria dei caduti, individuato proprio di fronte alla scuola (oggi Via Trieste).
Quando nel 1943, dopo l’8 di settembre, le sorti dell’Italia peggiorarono con l’occupazione tedesca e i bombardamenti, a Piossasco troviamo una novità, la presenza di una fabbrica torinese, la SAMT collocata dove poi troveremo dal ‘57 in poi la FRAP, ma anche diffusa in piccoli capannoni in serie, in mattoni, le cui tracce si possono ritrovare in edifici ancora presenti dietro ai così detti palazzi Fanfani.
l’ingegner Aldo Zorzoli
Il proprietario di questa fabbrica era l’ingegner Aldo Zorzoli e le motivazioni di questa traslazione sono da ricercare nelle sempre più frequenti incursioni aeree su Torino. Come si sia potuto sistemare a Piossasco e soprattutto su suolo pubblico è un mistero.
Zorzoli prolifico progettista di vari dispositivi quali ammortizzatori e stabilizzatori di sospensioni era ben introdotto con il regime fascista. Alcune sue invenzioni avevano varcato i confini nazionali.
Conosceva il tedesco per aver frequentato i mercati della Germania e Svizzera. Delle sue frequentazioni in ambito militare si ricorda soprattutto quel Carlo Alba, ingegnere, ex ufficiale dell’aeronautica della RSI.

Mitra TZ45
Il suo nome resterà legato a un’arma, un mitra, il TZ45 che sarà imbracciato sia dalla squadracce fasciste nella repressione partigiana, sia dagli stessi partigiani. Un’arma tristemente famosa che arriverà fino ai giorni nostri con il delitto Moro e il cui uso lo si troverà anche nel sud-est asiatico.
Quest’arma prodotta in diversi posti del nord Italia, in particolare nel
bresciano, venne assemblata anche a Piossasco nella SAMT di piazza Italo
Balbo (oggi Fratelli Baudino).
Attingo nuovamente ai ricordi familiari. Mio padre che aveva avuto la
fortuna per i tempi di essere riformato per un problema toracico, fu precettato e impiegato nella produzione bellica di questa ditta.
Godeva come tutti coloro che vi lavoravano di un lasciapassare bilingue, soprattutto dall’autunno del’43, questo però non era sempre un passe-partout per muoversi in tranquillità. Due volte fu fermato.
Una invitato a tornare a casa perché nella ditta avevano prelevato alcuni operai, tra cui una donna di nome Clementina, che era sospettata di essere una staffetta della Resistenza.
La seconda,
nell’inverno del’44, mentre si accingeva ad andare a lavorare, una retata di tedeschi e fascisti arrivò improvvisamente nel cortile di casa e mio padre, per salvare suo fratello nascosto in casa, dopo che era tornato a piedi da Chatillon in Val d’Aosta, dopo l’8 settembre, si consegnò.
Nonostante il lasciapassare fu portato a S.Vito e poi grazie ad un fascista repubblichino, liberato, mentre alcuni di questa retata vennero portati in via Asti a Torino Sul famoso mitra mio padre affermava che non era molto affidabile .
A cento metri già perdeva precisione a causa di problemi di compressione. Tuttavia aveva delle novità interessanti, il calcio retrattile e la sicurezza sull’impugnatura del caricatore. A Piossasco le lavorazioni che lo riguardavano erano soprattutto le parti cilindriche, altri particolari come la molla interna e gli scatolati venivano da via.
Annesso alle officine, era presente una camera
di tiro con dei sacchi di sabbia in quei tetti di via Trieste. L’ambiguità del Zorzoli era nota: compromesso con il regime, non mancava però di intrattenere rapporti con i resistenti.
A volte per le sue conoscenze e per sapere il tedesco svolse anche opera di mediazione. La sua fuga nel milanese, di cui era originario, a fine conflitto, il tentativo di camuffarsi sotto falsa identità partigiana, è conosciuto. Lo ritroviamo nuovamente nel torinese negli anni Cinquanta. È del ’56 il fallimento della sua ditta, la SAMT; è dello stesso anno la formalizzazione dell’atto di fondazione della FRAP (la cui sede/uffici risultano in via Roma), sotto la guida di Riccardo Manzone (poi cavaliere del lavoro), che rileverà quanto era rimasto a Piossasco. Oltre al Piatti (Umberto e non Aldo come è scritto sul sito attuale della FRAP) in società entrerà anche Natale Patrucco. Monferrino quest’ultimo e langarolo il Manzone rappresentano la nuova classe imprenditoriale industriale arrivata dalla provincia piemontese, dai luoghi dove la barbera e il barolo non creavano ancora quella ricchezza che donano oggi. D’altronde anche i Baudino e i Fenoglio ai primordi dell’industria piossaschese non erano indigeni del luogo.
Figure importanti
A proposito del clima generato dalla guerra mi sembra giusto ricordare
due figure importanti di questi anni terribili: Emilio Baudino (industriale
nel settore dei distillati) e don Michele Frigeris (teologo e amministratore
dei beni della curia) che si spesero per nascondere ebrei dalla persecuzione nazifascista. Il Baudino, in affari con i Diena (quelli della famosa Marsala), nota famiglia ebrea di origine carmagnolese, si offrì di trovare rifugio a componenti di questa, quando l’occupazione tedesca mise in forte pericolo la loro esistenza. Al Marchile si ricordano due o tre episodi in cui ebrei furono ospitati.
L’auto del Baudino era di casa di fronte alle abitazioni dei parenti del sacerdote e di fronte al grande cascinale che, ironia della sorte, per la sua forma chiusa i marchilesi chiamavano “U ghet”, il ghetto. Una anziana coppia di ebrei fu ospitata da Oreste Tarable, noto per le sue idee socialiste. La donna per sbarcare il lunario rammendava. Mio padre che aveva strappato i pantaloni del completo per sfuggire alle ire di sua madre fece due cose: inchiodò il cassetto della credenza, perché la nonna non potesse aprirlo e ricorse alle mani sapienti della rammendatrice ebrea che fece un lavoro di fino, ricostruendo integralmente il disegno del pantalone principe di Galles.
In genere questi transfughi rimanevano poco, poi per via segreta, aiutati
da questa compagnia trasversale: di borghesi, clericali, socialisti di buona
volontà, cambiavano alloggio.
Ci furono altri interventi in difesa, soprattutto dei giovani che erano tornati a casa dallo sbandamento del settembre del ’43 e non avendo scelto la lotta armata venivano nascosti dalle famiglie. In pericolo erano anche coloro, pur ancora ragazzi, in odore di leva. In questa terra di mezzo si muovevano i due parroci: di S. Vito e S. Francesco, sistemandoli in alcune ville della collina, i cui proprietari o eredi avevano spesso legami con l’esercito se non con il regime. Nonostante la presenza in diverse delle più importanti residenze di S. Vito (Villa Boneschi, Villa Lajolo) di un comando tedesco, la situazione veniva tenuta sotto controllo con qualche tacito compromesso.
La transazione verso il 1945
fu lenta e difficoltosa. Qualche bomba cadde per sbaglio sul paese. Si ricorda quella a ridosso delle case degli Elia, che si infossò senza scoppiare e un’altra nei campi della Paperia. Gli aerei alleati puntavano su Airasca dove c’era un aeroporto e le bombe non erano ancora intelligenti! Nell’estate del ’44 molti giovani seguivano la via dei campi preferendo dormire all’aperto.
Così fece anche lo zio Giovanni una sera. Prese il tascapane ci infilò qualcosa dentro, da mangiare, e una piccola rivoltella, mentre attraversava la provinciale a Milone un sidecar tedesco proveniente da Pinerolo gli intimò l’alt.
Egli gettò l’arma nel piccolo fosso e sfruttando la sua sinuosità, correndo a più non posso si disperse nei prati della Valdusana.
Erano frequenti i pattugliamenti della provinciale e il mitragliamento della montagna. A una situazione di pericolo del genere si deve ad esempio il voto che fece Virgilio Buttigliengo di vestire i panni del Cristo e portare la croce nella via crucis che si faceva nel periodo di Pasqua a S. Vito.
Lo onorò fino alla estinzione di questa tradizione negli anni Sessanta. Era convinzione di mio padre che la liberazione la portassero i francesi e fu stupore generale vedere arrivare americani e canadesi. Mi stupisco di ricordare tutte queste cose che ho sentito narrare, di essere un testimone dei testimoni e mentre questi fatti si allontanano sempre più da noi sento di avere una responsabilità, quella che sottolineava Primo Levi: quella della memoria .
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