( San Giacomo ) Opedale della Damigella
Prefazione al libro di Ezio Marchisio
L’ospedale della Damigella
Più di un secolo di storia a Piossasco
Un altro Tassello per la nostra storia Locale
Queste pagine costituiscono un’altra breccia sul’ancora inesplorato della storia e cultura locale.
Nella cronologia degli interessi di eruditi e ricerche si sono cimentati su vari aspetti delle vicende politico, economiche e sociali del luogo, un campo di indagine meritevole di maggiori approfondimenti è certamente quello della storia contemporanea dell’Ottocento-Novecento.
Gli aspetti della vita comunitaria di questi secoli hanno in passato trovato interesse in alcuni estensori di tesi e saggi riguardanti i feltrifìci e i liquorifìci.
L’impulso poi di gruppi di ricerca, sostenuti da varie amministrazioni succedutesi negli anni Settanta-Ottanta, del Novecento, hanno prodotto lavori sulla religiosità, l’associazionismo musicale, sull’urbanistica nel periodo di maggior trasformazione del paese.
Non è mancata anche una iniziale riflessione sul periodo dell’ultimo conflitto mondiale e sulla Resistenza, con la memorialistica, seguita dal lavoro dello stesso autore sui primi passi, della vita democratica del nostro comune nel secondo dopoguerra.
Poche località circostanti possono annoverare come Piossasco un’articolata e abbondante produzione di lavori sulla propria storia.
Tuttavia i campi di esplorazione rimangono molti
Una certa ritrosia c’è ancora nell’ affrontare la storia del Novecento nel suo complesso. Le varie anime del paese, le contrapposizioni politiche, che lo hanno attraversato, frenano probabilmente chi vorrebbe mettere mano a questo secolo incredibile e violento nello stesso tempo.
D’altronde il paese, già nell’Ottocento, per la sua conformazione e gli strascichi polemici susseguenti la sua trasformazione, aveva presentato forti, laceranti tensioni centrifughe.
Piossasco luogo del due di tutto: due parrocchie, due bande musicali, due asili si ritrova però unito attorno ad una unica forma di assistenza, il così detto Ospedale San Giacomo o semplicemente il San Giacomo.
Il consenso e convergenza comunitaria su questa istituzione, evoluzione della vecchia assistenza postunitaria. delle Congregazioni di Carità, nomiate dalla legge Crispi del 1888, esempio di una nuova proto-assistenza sanitaria, lo si comprende dai giudizi sostanzialmente unanimi
registrabili sulla stampa locale, dei bollettini parrocchiali, sempre pronti all’occorrenza a rinnovare i vecchi dissapori ottocenteschi.
Quando questa istituzione viene inaugurata nel 1931
possiamo comunque rilevare come lo Stato sia ancora lontano dal promuovere la salute pubblica in modo adeguato.
La cultura dell’Ottocento aveva già indirizzato in via teorica l’attenzione verso le patologie endemiche, ma l’assistenza sanitaria muoveva i suoi primi passi non tanto dettata dall’azione politica, quanto e soprattutto per l’azione individuale di medici lungimiranti.
Nei primi anni del Novecento la crescente consapevolezza della salute come diritto per tutte le fasce sociali, ebbe un risvolto strutturale con la nascita di spazi, edifici atti a tale azione.
La nascita del San Giacomo, come ospedale, si inserisce in questo filone, anche se l’istituzione è conseguenza in primis di una donazione più che di una azione amministrativa.
Questo determinerà sempre delle problematiche nella gestione dei suoi ambienti, non adeguati alle necessità di tipo ospedaliero e nel tempo lo porteranno a diverse riconversioni, fino al suo ridimensionamento in casa di riposo.
Assistenza Sanitaria
Rimane il fatto innovativo che per la prima volta a Piossasco l’assistenza sanitaria, dai tempi della pestilenza seicentesca, muta atteggiamento, passando da un intervento emergenziale, vedi lazzaretto del Prarosto, a uno sistematico, identificabile in un edificio.
Il ruolo nel tenerlo vivo, punto di riferimento della popolazione, lo si deve poi ad alcuni zelanti medici locali, due nomi su tutti Silvio Silvani e Francesco Alfano, che ne faranno ambito operativo della loro azione migliorativa delle condizioni igienico-sanitarie del paese.
Dobbiamo rilevare che questa vocazione piossaschese all’ospitalità territoriale di strutture sanitarie è continuata nel tempo con fondazione di cliniche come Villa Serena, Villa Patrizia.
Persino i Salesiani quando, negli anni Venti del Novecento, acquisirono il palazzo De Feys, poi villa Piacenza, lo trasformarono nel loro convalescenziario.
Parafrasando un noto aforisma aristotelico possiamo dire che le istituzioni non possono donare la salute individuale ma devono cercare di tutelarla al massimo grado; il San Giacomo è stata, con un’oculata amministrazione di molti probi viri nel tempo, una di queste tappe della sanità locale.
Questa ricerca sulla storia dell’Ospedale San Giacomo
poi trasformatosi in casa di riposo, vuole tenere conto di tre aspetti. Una parte illustra le prime leggi dello Stato Unitario in materia sanitaria e socio assistenziale: dalla Legge Crispi del 1888 che istituisce nella sostanza quello che sarà il Ministero della Salute pubblica, al controllo dei Governi sulle Opere Pie di fine ’800 e sulle Congregazioni di carità fino alle IPAB soppresse circa mezzo secolo fa.
Un’altra parte traccia le vicende dell’ Ospedale dal varo del Regio decreto di istituzione del 1916 fino ai nostri giorni quando nel 2015 si apre una nuova RSA in via Marco Polo, costruita con il ricavato della vendita della Cascina Farnesa e l’accensione di un mutuo,
passando attraverso l’infermeria militare del 1917-1919, il piccolo fascismo locale, la visita dei Principi di Piemonte giunti a Piossasco per inaugurare l’edificio ristrutturato di via Palestra rimesso a nuovo, fino al dopoguerra quando, negli Anni ’70 – ’80.
L’ospedale non è più tale e la formula della casa di riposo a gestione quasi famigliare si rivela di anno in anno sempre più inadeguata.
In questi due scenari è stata inserita la storia della Cascina Farnesa e del suo ‘‘Palazzo” che l’Ospedale ha avuto come donazione dal Cottolengo di Torino.
In questi significativi passaggi di proprietà vi è la presenza per più di mezzo secolo della famiglia di Giuseppe Marchisio e dei sei figli che coltivarono le 150 “giornate” della cascina dal 1910.